La storia


Dall’artigianato, all’arte. La parabola degli Alinari, si svolge fra le botteghe e i laboratori di Oltrarno, popolare quartiere fiorentino, e l’arte, nuova e appassionante, della fotografia. Sullo sfondo, un mondo che cambia, un secolo che si spegne, un’epoca che se ne va. Il capostipite, Sebastiano, secondo l’uso del tempo nelle famiglie umili, avvia ben presto al lavoro i figli Romualdo (1830-1890), Leopoldo (1832-1865) e Giuseppe (1836-1890), avuti da Scolastica Pagnori.

Il secolo diciannovesimo è cominciato da una cinquantina di anni, a Firenze regnano i Lorena, l’Italia e l’Europa sono percorse dalle prime vibrazioni di passioni nazionali e repubblicane. Leopoldo va ‘a bottega’ dal noto calcografo Giuseppe Bardi, Romualdo nel laboratorio Batacchi, mentre Giuseppe impara il mestiere dall’intarsiatore Falcini. Giovanissimi, gli Alinari mettono in luce quella dote innata che li condurrà, entro breve, alla grande avventura della fotografia: l’intraprendenza. Sarà infatti Leopoldo ad aprire un proprio laboratorio in via Cornina. È il 1852. Dall’arte del calco a quella della fotografia: i tre giovanissimi fratelli si avviano assieme verso questa nuova frontiera. Nel 1854 nasce la società Fratelli Alinari.

La fotografia a Firenze è patrimonio esclusivo di pochi tecnici civili (Officine Galileo) e militari (Istituto Geografico Militare). Gli Alinari se ne appropriano in fretta, cominciando a riprodurre i monumenti e le opere d’arte della città. Lastre fiorentine che i fratelli Bisson, noti fotografi a Parigi, venderanno alla borghesia illuminata d’oltralpe, nel cui spirito positivista ha facilmente attecchito l’invenzione di Nièpce e Daguerre.

Le crescenti ordinazioni costringeranno i tre fratelli a cercarsi locali più ampi e più idonei in via Nazionale: è il 1863, una data storica per gli Alinari.

Nel 1865, a soli trentatre anni, Leopoldo muore ed i due fratelli assumono la guida dell’ azienda ormai florida. Il loro nome e la loro fama circolano ormai per tutta Europa. Giuseppe e Romualdo girano l’Italia ad immortalare le bellezze artistiche e paesaggistiche del paese per gli appassionati di tutto il mondo. Non sono gli unici fotografi italiani, ma certamente i primi ad organizzare accuratamente la produzione e a curare meticolosamente l’archivio.

Fautori e fondatori, nel maggio del 1889, della Società fotografica italiana, gli Alinari saranno premiati nello stesso anno all’Esposizione internazionale di Parigi.

Quando l’azienda sembra essere al culmine del prestigio internazionale, i due fratelli muoiono, a distanza di quattro mesi l’uno dall’altro È il 1890: la responsabilità del laboratorio e della trentina di persone che ormai vi lavorano, passa a Vittorio (1859-1932), figlio di Leopoldo Alinari, il fondatore.

Vittorio Alinari è forse meno tecnico dei suoi predecessori, ma è un giovane dai molteplici interessi artistici e letterari. Pienamente inserito nel clima culturale del suo tempo, in capo a pochi anni trasforma la villa di Quarantino a Fiesole, nel salotto buono dell’intellighenzia fiorentina e non solo. È amico dei più brillanti intellettuali del tempo da Renato Fucini, a Giosuè Carducci, da Isidoro Del Lungo a Giuseppe Vandelli, da Giovanni Poggi a Guido Spadolini

Vittorio frequenta ed incoraggia i Macchiaioli, di molti dei quali è amico. Pittori che parteciperanno ai concorsi da lui stesso indetti. Come nel 1900, quando chiama a raccolta gli artisti migliori per rappresentare una Madonna con bambino ed una madre con figlio. O l’anno successivo, quando proporrà di illustrare la Divina Commedia. Alle due iniziative parteciperanno pittori come Fattori, Zanardel, Spadini, Zardo, Muccioli.

Nel frattempo Fratelli Alinari immortala le opere dei musei più belli d’Europa: fotografi fiorentini nel 1905 sono a Dresda, Parigi, Atene. Nel 1909 e fino al 1915, l’azienda di via Nazionale inizia a pubblicare il Decamerone, con illustrazioni di Tito Lessi, e negli stessi anni Vittorio comincia un’impresa nuova e appassionante: fotografare tutti i paesaggi italiani citati da Dante nella Commedia. Il paesaggio italico nella Divina Commedia vedrà la luce nel 1921 con prefazione di Giuseppe Vandelli. È quasi un testamento artistico e visivo di Vittorio Alinari che, proprio l’anno precedente l’uscita dell’opera, stanco e provato per alcune vicende familiari (la morte del figlio Carlo nel 1910), decide di lasciare il timone della Fratelli Alinari. Vende l’azienda ad una società anonima, l’Istituto di edizione artistiche - Idea. Quando il grande fotografo passa la mano, la Fratelli Alinari ha immortalato oltre 70.000 soggetti. Arte, natura, architettura, storia: il genio degli Alinari ha raccontato al mondo la bellezza. Vittorio Alinari muore a Livorno il 28 agosto 1932.